venerdì 15 novembre 2013

Un viaggio alla ricerca di qualcosa che non c'era

Chattavo sin da quando chattare si era diffuso come metodo di comunicazione alternativo.
Erano le prime chat, ancora rari erano i blog, non esistevano il messenger e icq, meno che mai le web cam integrate nei computer (almeno in quelli comuni), l’e-mail stava iniziando ad essere utilizzata a livello popolare e hotmail era quella più diffusa.
Avevo conosciuto Felix in una chat di mIRC.
Come sempre accadeva allora (e probabilmente continua ad accadere, ma non frequento più le chat!), se entravi in chat con un nome femminile, potevi scommettere che dopo nemmeno dieci secondi saresti stata tempestata da messaggi privati di uomini che volevano chattare con te.
Una volta avevo provato a usare il nickname “Pippo”… non mi si era filato nessuno. Avevo allora contattato uno dei nomi presenti in chat e avevo preso a parlargli. Il tale rispondeva a monosillabi e mi lasciava ad attendere le sue risposte per minuti: non aveva nessuna intenzione di conversare con un Pippo. Solo quando gli avevo rivelato che ero una donna, avevamo avviato una divertente conversazione, nella quale io avevo cercato di spiegargli che ero una donna e lui non mi aveva essenzialmente creduto, anche se era rimasto un po’ spiazzato da quello che avevo detto perché probabilmente, in fondo, si capiva che ero donna davvero. Solo che poi, il mio indirizzo e-mail, che allora era lo stesso di mio padre e che portava il suo nome (maschile chiaramente), aveva fatto desistere il tale, che mi aveva congedato come uomo con probabili inclinazioni omosessuali.
Avevo tre nickname, nella chat di mIRC. Quello che usavo di più era Sky – cielo, il nick con cui mi sentivo più a mio agio, che mi ispirava serenità e mi rappresentava bene tutti i giorni -, poi c’era Pearl – quando mi sentivo un po’ più triste o sola -, infine Moira – il nick che usavo quando ero molto allegra.
Mi collegavo in chat quasi ogni sera, soprattutto perché in quel periodo mi annoiavo. Avevo rotto da poco con un tizio e non uscivo spesso. Dopo una lunga e stressante giornata di lavoro, chattare mi rilassava.
E poi, spesso, entravo in chat nella speranza di incontrare il mio amico M., la prima persona che ho conosciuto in questo mondo virtuale, un ragazzo d’oro, con cui in seguito mi sono anche incontrata, che mi ha insegnato un sacco di cose sulle chat e che, non dimenticherò mai, mi inviò, una volta, per e-mail, un programma da 2 Mb che il mio computer ci mise oltre due ore a scaricare. Che tempi!
Ricordo ancora, a distanza di molti anni, i discorsi filosofici, durati un’intera notte, con un certo Andrea di Firenze. Discorsi incentrati sui rapporti umani e il riconoscersi tra persone affini, perché dotati di antenne complementari.
Ricordo poi il Principe, un ragazzo romano, più giovane, che mi scriveva poesie. Poesie alle quali io non rispondevo e, più non gli rispondevo, più lunghe e belle le poesie diventavano.
O ancora Quelo, con cui ridevamo a crepapelle delle battute di Corrado Guzzanti.
La sera che avevo conosciuto Felix, il mio nickname era Sky. Tra tutti quelli che mi avevano mandato messaggi, appena aperta la chat, avevo scelto il più semplice e simpatico. E avevamo parlato tutta la notte, salutandoci alle 6 del mattino. Ci eravamo raccontati di tutto e scambiati le fotografie.
Io allora mandavo sempre una foto – che mi piaceva da morire - scattata un paio di anni prima, che mi ritraeva a piedi scalzi, seduta sul bordo di una fontana, con un vestito a fiori su sfondo blu, leggermente truccata e abbronzata, una notte a Ibiza. Gli era piaciuta.
Lui mi aveva mandato un primo piano, nel quale i suoi bei lineamenti risaltavano.
Erano i primi di gennaio, dopo qualche conversazione in chat, sempre più lunga e sempre più personale, mi aveva chiesto il numero di cellulare e mi aveva dato il suo. Così avevamo iniziato a sentirci anche al telefono. Mi piaceva davvero. Pensavo di essere uscita dal tunnel dell’innamoramento non ricambiato per un’altra persona, tunnel nel quale vagavo da oltre due anni.


Un giorno, un paio di mesi dopo il nostro primo incontro in chat, avevamo convenuto che urgeva conoscersi di persona, per capire cosa ne sarebbe stato di quel rapporto, che ci stressava perché era già parzialmente caratterizzato dalle arrabbiature e dalle litigate di una storia normale, ma non da quello che di solito costituiva la contro parte piacevole di un rapporto di coppia, dato che non ci eravamo mai visti di persona. Abitavamo ai poli opporti della penisola, quindi avevamo deciso che Roma sarebbe stato il luogo ideale per il nostro primo incontro.
Non ero partita pensando che stavo facendo un colpo di testa, credevo davvero che mi piacesse, pensavo che a Roma ci saremmo messi insieme, finalmente. Avevo preso il treno quella sera carica di aspettative.
Durante la prima mezz’ora di viaggio, avevo parlato circa dieci volte con la mia amica Anna, unica che conosceva le ragioni della mia breve permanenza a Roma. Agli altri avevo detto che andavo per lavoro. Tanto nessuno ha mai capito niente del lavoro che faccio, potrei inventare pure che vado al Polo Nord per lavoro e ci crederebbero tutti.
Ero in fibrillazione per l’imminente incontro e ero certa che non avrei chiuso occhio. Mi ero chiusa a chiave che ancora non erano nemmeno le dieci e mi ero messa a leggere alla luce fioca della mia cuccetta di mezzo. Non che riuscissi a leggere, ero troppo emozionata e non facevo altro che fantasticare su come sarebbe stato il nostro primo bacio.
A un certo punto, avevano bussato alla porta, avevo fatto finta di dormire, sperando che, chiunque fosse, desistesse. Volevo stare sola e godermi il mio sogno ad occhi aperti.
“Sono il controllore” - aveva detto una voce fuori dalla porta - “Apra, devo fare entrare una persona”.
Per un attimo, avevo pensato di continuare a fingere di dormire, ma il controllore avrebbe potuto pensare che stavo male e avrebbe potuto buttare giù la porta, o, più semplicemente, entrare, senza troppa fatica, aprendo con il suo passepartout.
Allora, avevo fatto finta di essere stata colta nel sonno e, sbadigliando sonoramente, avevo biascicato - “Un attimo!” e, dopo una lenta e rumorosa discesa dalla cuccetta, avevo aperto la porta.
Di fronte a me, un ragazzo alto e biondo, accanto al corpulento controllore, mi guardava incuriosito. Il leggero sorriso sulle labbra lo rendeva quasi irresistibile.
Il ragazzo alto era entrato nello scompartimento, passandomi accanto sull’uscio, senza aspettare nemmeno che io mi spostassi ed era andato a sedersi con i piedi penzoloni nella cuccetta in alto, nella fila di fronte alla mia. Muoveva le gambe come i bambini e non avevo potuto fare a meno di notare le Converse All Star blu ai piedi. Le mie scarpe preferite, del mio colore preferito. Come le mie.
Improvvisamente, non mi dava più così tanto fastidio l’aver dovuto accogliere uno sconosciuto nel “mio” scompartimento.
Avevamo parlato fino a notte inoltrata: mi era davvero simpatico e mi piacevano i suoi modi di fare.
Il sorriso sincero, il modo con cui gesticolava o masticava la gomma americana, il modo in cui parlava.
L’attrazione era stata reciproca, ma io stavo andando a conoscere quello che credevo fosse l’uomo della mia vita, per cui avevo fatto finta di niente quando Sebi, in procinto di salutarci, aveva tentato, timidamente, di chiedermi il numero di telefono.
Poco prima della sua fermata, ero andata in bagno e, al mio rientro lui era già pronto con la valigia in mano e il cappotto indosso; mi aveva stretto la mano, guardandomi negli occhi e mi aveva dato un bacio sulla guancia.
Era rimasto imbambolato sull’uscio per un po’ e io mi ero voltata imbarazzata, temendo che potesse tentare di baciarmi sulla bocca. Il mio occhio era allora caduto sulla mia borsa semi aperta, dalla quale spuntava il bordo di un’audiocassetta. Avevo riconosciuto una sua cassetta, di cui mi aveva parlato, quella del concerto di Simon & Garfunkel a Londra, registrata live da lui.
Senza pensare che potesse non essere un caso che quella cassetta si trovasse nella mia borsa, gli avevo detto stupita - “Guarda, la tua cassetta è caduta nella mia borsa” e l’avevo presa in mano, porgendogliela.
Lui era arrossito violentemente e allora avevo capito. Avevo guardato la cassetta, rigirandomela tra le mani, e avevo letto il messaggio che vi aveva scritto. Imbarazzatissima, rapidamente, gli avevo consegnato la cassetta, accompagnandola con un’espressione che voleva dire “Tu mi piaci ma… insomma, scusa, ma non posso accettare”.
Lui l’aveva presa, mi aveva guardato intristito, ancora rosso in viso e deluso visibilmente dalla mia reazione ed era scappato via. Dopo qualche secondo, la sua fermata. A dividerci per sempre.
L’incontro con Sebi mi aveva lasciata un po’ spiazzata. Il gesto di regalarmi quella cassetta che per lui aveva un valore inestimabile, mi aveva colpito molto.
Ma avevo altri pensieri in testa quel giorno. Scesa dal treno, mi ero recata in albergo, avevo fatto una doccia e avevo atteso fremente che si facesse l’orario stabilito per il nostro appuntamento. Era una giornata piovosa e c’era un freddo cane, mi ero messa un paio di pantaloni e un maglioncino di lana e un paio di scarpe, con tacco alto, ma comode.
Sulla metropolitana, andando all'appuntamento, non avevo fatto altro che pensare a Felix e alla svolta che di sicuro avrebbe avuto la mia vita da quel giorno. Pensavo addirittura di potermi trasferire per seguirlo.
Non c’era spazio, nelle mie fantasie, per il ragazzo alto conosciuto in treno che, seppure, mi aveva lasciato qualcosa nel cuore.
Poi, nel momento esatto in cui avevo visto Felix venirmi incontro, dinoccolandosi, con aria da bulletto, con l’aria di uno che se la tira, i miei sogni si erano infranti fragorosamente. In quell'istante, il modo di fare di Sebi - che mi era piaciuto tanto -, mi era tornato in mente e avevo realizzato che avevo sbagliato.
Che ero stata un’illusa a pensare di potermi innamorare di una voce o di quattro parole scritte su uno schermo. Che una fotografia, anche se reale, non coglie il modo di fare di una persona, molto più importante dell’aspetto stesso. Che quella persona che mi piaceva era solo nella mia mente e che Felix non c’entrava niente, era solo una proiezione dei miei desideri.
E' stato uno degli incontri più imbarazzanti della mia vita.
Non sapevamo cosa dirci ed era più che evidente che la sensazione di disagio fosse reciproca e che non ci saremmo sentiti mai più. Che lui era rimasto deluso tanto quanto me e che avrebbe voluto trovarsi di fronte una femme fatale, magari in minigonna e tacchi alti, invece di una ragazza semplice, con solo un filo di trucco, pantaloni e scarpe comode… semplicemente me.
In treno al ritorno, una coppia di giovanissimi, non aveva fatto altro che pomiciare selvaggiamente nella cuccetta sotto la mia, rammentandomi che io invece ero da sola.
Avevo pensato a Sebi tutto il tempo. Mi ero maledetta per avergli restituito la cassetta. Dopotutto lui me l’aveva regalata e restituirla era stato pure un po’ scortese.
Le parole che vi aveva scritto, in stampatello, con il pennarello indelebile verde, sulla plastica, non facevano altro che tornarmi in mente, erano lì, come scolpite nella mia mente. Tutte, punteggiatura compresa, tranne la cosa più importante.
È stato bello conoscerti. Se ti andasse di rivedermi, ne sarei felice. Il mio numero è questo: 0338/918…

E a qualche ombra che mi sfiorerà darò il tuo nome perché la mia anima le risponda


Per l'immagine grazie a Lady Alexandra di Diario di Corte


Mi torni in mente e mi chiedo se sei un ricordo sbiadito dalla nebbia del tempo o forse piuttosto sei un sogno.
Era bastato solo uno sguardo per capire che eri quello che stavo cercando, che tu eri l'anima gemella che non credevo esistesse. Ne ricordo la consapevolezza, quando ci siamo conosciuti, poche parole scambiate ma i nostri occhi che si cercavano sempre. E la voglia irrefrenabile di farsi travolgere dal destino.
Una sera ci siamo incontrati per caso, lontano da tutto quello che rappresentavamo l'uno per l'altra nella nostra vita quotidiana. Era il nostro destino.
Ricordo, come in un sogno con i contorni sfocati dal tempo, il brillare dei tuoi occhi nel momento in cui si sono posati su di me, le nostre parole, discorsi infiniti, sul passato, sulle coincidenze, sull'anima gemella, sul destino che ci aveva fatto incontrare.
Parlavamo delle cose che avevamo in comune e ti leggevo pezzi dei miei libri preferiti e delle mie poesie. Tu ascoltavi rapito, da me, dalle mie parole, da quello che si stava succedendo... tu, che mi tremavi accanto, spaccato tra desiderio e razionalità cosciente delle nostre ali tarpate.
Fino a che quello che sapevamo essere il nostro destino ci ha travolto con furia e la freschezza dei miei spensierati vent'anni si è abbattuta su di te, con la violenza di un temporale che risveglia piangente un bambino da un sogno.
E allora tutto è diventato estasi e stretti l'uno accanto all'altra, parlavamo, sorridevamo e promettevamo di essere sempre l'uno per l'altra quello che eravamo allora.
Finì come doveva finire, lo sapevamo che sarebbe andata così.
Nessun rancore e tanta nostalgia per le nostre ali che non si sarebbero più spiegate in volo, non più insieme.
Mi hai salutato dedicandomi la più bella e struggente dedica al mondo.
Ma tutta la mia vita non sarà che un canto di nostalgia per la felicità perduta… ti auguro di dimenticare presto il mio nome e di trovare un amore che ti dia soltanto gioia. Ti seguirò da lontano con la fedeltà del ricordo e sarò felice di saperti felice all'infuori di me. Me ne andrò per le strade con il tuo sorriso dentro il cuore e a qualche ombra che mi sfiorerà darò il tuo nome perché la mia anima le risponda.

sabato 2 novembre 2013

Notte (1998)

Per l'immagine grazie a Lady Alexandra di Diario di Corte
Intorno, la luce chiara
si taglia come fosse nebbia densa.
Improvvisamente, il buio
ad avvolgere tutto
me, gli altri, il mondo intero.
Vago nell'oscurità e incontro
le anime di quelli che mi hanno preceduto
nel viaggio che sto per iniziare.